mercoledì 10 luglio 2013

Poveri carnefici

Dopo aver sentito al radiogiornale le solite tragiche notizie relative ai nuovi femminicidi, oggi pomeriggio mi sono collegata al Web e, spulciando qua e là fra pagine Facebook e blog, mi sono imbattuta in un articolo firmato da Gabriele Moroni e pubblicato sul sito de "Il Giorno".
Leggete il seguente passaggio:
Marco Malabarba è stato barista a Milano, poi ha trovato lavoro nella legatoria Lem di Landriano. Un uomo descritto come mite, fragile, una grande passione per il motociclismo condivisa per qualche tempo dalla moglie, entrambi sono iscritti al gruppo Ctbk di Torrevecchia Pia. È Tiziana, impiegata a Milano, a guidare la vita di coppia fin dal tempo del fidanzamento, prima ancora del matrimonio celebrato otto anni fa. Lo fa, secondo il racconto del marito, ricorrendo agli schiaffi. Anni fa i primi gravi dissapori. Il rapporto è deteriorato. Tiziana non regge, minaccia a più riprese il marito di andarsene. Marco china la testa, subisce.
Stando a queste parole, si può facilmente immaginare che quest'uomo buono e mite, vessato da una moglie dispotica, abbia finito per essere vittima di chissà quale violenza, perpetrata dalla sadica donna.
E invece no. Vi sbagliate. Ad essere uccisa con due coltellate alla gola e una al ventre è stata la moglie: lei, la tiranna, la "Medea", la femmina terribile che si permetteva (è ancora Gabriele Moroni a scrivere) di essere «leader, personaggio dominante». Marco Malabarba, l'uomo "mite", innervosito perché Tiziana, durante la notte, aveva tirato dalla sua parte il lenzuolo, reagisce con uno scatto di nervi: scoppia una lite e il "timido" Marco corre in cucina, afferra un coltellaccio e uccide la moglie. La sgozza con due colpi decisi; quindi, abbandona il corpo nell'appartamento, recandosi col figlioletto a casa dei genitori di lei. «Ho ucciso la Tiziana. Ho sempre sopportato...» Come a dire: ho sempre sopportato e alla fine non ce l'ho più fatta, ho dovuto ribellarmi, ho dovuto uccidere.

Immagine © Anarkikka
Non vorrei essere (come al solito) sospettosa e malpensante, ma la sensazione che ricavo, leggendo l'articolo dell'illuminatissimo Gabriele Moroni, è che l'intento sia quello di giustificare (almeno in parte) il crimine commesso da Marco Malabarba, operaio 39enne di Landriano.
Il povero Marco, infatti, secondo l'opinione di Moroni, non avrebbe avuto altra scelta: era un brav'uomo, oppresso da una moglie che si permetteva (con quanta arroganza!) di avere un carattere forte e che, per giunta, minacciava continuamente di abbandonarlo (chissà poi per quale motivo, visto che lei aveva la padronanza assoluta della situazione: Moroni preferisce sorvolare su questa incongruenza...). Capite bene che lo stress (per un essere umano di sesso maschile cresciuto secondo i dettami di una cultura patriarcale) è troppo grande: per recuperare la propria mascolinità, deve riaffermare una secolare tendenza alla prevaricazione e alla violenza. Deve fare una sfuriata (utilizzando il futile pretesto delle coperte sottratte) e poi uccidere. E' questo l'unico modo per domare una donna che "non ci sta", che non è più disposta a subire le conseguenze di una frustrazione portata all'estremo.

Marco Malabarba NON è una vittima; ma ci viene presentato come tale da uomini simili a lui - insicuri e al contempo prepotenti; incapaci di gestire la loro emotività e perciò perennemente pronti ad esplodere; desiderosi di affermare una virilità anacronistica e perduta e dunque inclini alla violenza.
Di giornalisti e cronisti pericolosi (perché responsabili della diffusione di una cultura ancora fortemente maschilista - che nell'ultimo periodo sta arrancando, mietendo sempre più vittime nel tentativo di riaffermare il proprio potere sociale), purtroppo, ce ne sono parecchi: penso, ad esempio, all'imbarazzante Camillo Langone (di "Libero"); oppure a tutti coloro che hanno liquidato Silvia Caramazza (uccisa a bastonate e poi chiusa in un congelatore) come una povera donna vittima della depressione e degli psicofarmaci. Ancora una volta, come a voler dire: «D'accordo, lui l'ha uccisa... Ma, dopotutto, lei era una mezza matta, una persona instabile. L'assassino non aveva poi tutti i torti a volersi liberare di lei, delle sue manie...».
Già, le manie delle donne: non ultima, quella della libertà. L'ossessione (siamo creature davvero singolari) di non voler essere controllate, spiate, dominate.

Credo che opporsi ad articoli come quello di Moroni e protestare contro di essi sia un dovere preciso per ciascuna donna. Infatti, solo estirpando alla radice la "malerba" del maschilismo (le radici, si sa, si espandono sotto terra: non a caso se ne trovano tracce nelle immagini diffuse dalla televisione e dai social network, nelle parole utilizzate da giornalisti, scrittori e persone comuni; perfino gli insulti, a volte, possono essere molto significativi...), sarà possibile, in futuro, assistere a un progressivo calo dei casi di femminicidio. Solo in questo modo potremo restituire dignità a Tiziana, Silvia e a tutte le altre vittime.

PS: se volete leggere l'articolo completo di Gabriele Moroni, cliccate qui. Per scrivere al giornalista: gabriele.moroni@ilgiorno.net

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