lunedì 7 novembre 2011

P come Protezione

Dal dizionario etimologico
PROTEGGERE: dal latino pro (avanti) - tegere (coprire), "prendere la difesa, la cura; prestare soccorso e appoggio".

Ciò che più mi ha colpito, della protesta in Val Susa lo scorso 23 ottobre (dignitosa e bellissima, nonostante la successiva rappresaglia all'ostello di Avigliana [1]), non è stato il vistoso spiegamento di forze presso il (falso) cantiere della Maddalena, né l'insistenza con cui l'elicottero dei Carabinieri continuava a ronzare sopra le nostre teste; bensì la sensazione di pace e serenità che regnava in quei boschi, a dispetto delle grida di protesta e del frastuono proveniente dal cielo.
Nulla sembrava disturbare i castagni, le querce, l'assenzio che cresce copioso sul bordo dei sentieri - né gli slogan urlati con passione al cielo della montagna né la bruttezza incontestabile delle uniformi, degli scudi, dei manganelli, delle camionette parcheggiate nello spiazzo del cantiere inutilizzato (un pugno blu nell'armonia d'oro e rosso dei boschi d'autunno).
Noi stessi, che procedevamo verso la baita Clarea senza sapere a cosa saremmo andati incontro (i poliziotti avrebbero sparato ancora lacrimogeni ad altezza d'uomo? Ci avrebbero tagliato le vie di fuga, costringendoci a inerpicarci sulle pendici scoscese?), ci sentivamo rinfrancati - più che preoccupati. In una parola, protetti.
E' su questa parola - protezione - che mi trovo a riflettere così di frequente da quella giornata in Val Susa sino a oggi, tempo di alluvioni, cataclismi e rivolgimenti.
"Streghe" in Val Susa.
Questa donna mi piacerebbe
tanto (ri)conoscerla.
Sarà che viviamo in un'epoca caratterizzata da una tale mancanza d'amore e di "cura" (verso il prossimo, noi stessi, i rapporti umani, l'ambiente che ci accoglie...) che ci sentiamo commossi nel profondo ogni volta che siamo testimoni della manifestazione concreta di una Passione.
Sarà che abbiamo un disperato bisogno di credere che una vita "altra" (priva di pastoie e compromessi) sia ancora possibile.
In ogni caso, è stato bello e importante vedere proprio le donne (un tempo maestre indiscusse dell'arte di pro-tegere) tagliare le reti metalliche in Val Susa, armate di tronchesi e di monolitica pazienza. E' stato bello sentirle gridare al cellulare, nei pressi della Baita Clarea: «E' andato tutto bene! Abbiamo tagliato le reti ed è andato tutto bene! E' pieno d'amore, qui!». (Foto accanto.)
Ed è quasi consolante leggere sul Web che vogliono tornare, quelle donne, a difendere la loro terra - questa volta vestite da streghe, da "masche" [2].

Come a dire che il vero significato dell'essere donne è proprio "saper proteggere" - con tenacia e combattività. Siamo tutte "strìe", in questo senso, e dovremmo andarne fiere - anche a costo di risultare sgradite ai più: proteggere non significa compiacere.
Se ne facciano una ragione tutte quelle persone (giornalisti, stilisti, politici, pseudo-letterati etc.) che a tutti i costi ci vorrebbero malleabili e stupidine.
Penso, ad esempio, a Rosa Matteucci, scrittrice italiana [3] che (nel 2011!) così ancora descrive l'essere donne:
Quasi nessuna donna, nemmeno quella più sensibile, per storia personale, educazione familiare o indole, ai fondamenti dell'etica animalista, resiste al piacere di accarezzare e di indossare una pelliccia. [...] Le donne sono per istinto attratte dal lusso e dal piacere del contatto fisico con le pellicce. Forse sarà una sorta di primordiale appagamento, ovvero un risarcimento morale, per la lotta senza quartiere e senza tempo che ogni signora ingaggia, sin dall'adolescenza, con i propri peli superflui, ma quello della pelliccia è un diletto per molte irrinunciabile. [4]
L'articolo (e la discutibile copertina della rivista "Amica", su cui Rosa Matteucci scrive) ha suscitato un vespaio di polemiche. (Potete leggerne un sunto e un'intelligente analisi su Il Dolce Domani, qui e qui.) Al di là di tutte le parole riversate sul blog della direttrice Cristina Lucchini da specisti e antispecisti, ciò che più spiace è constatare quanto e come le donne vengano ancora definite per stereotipi: ochette, svampite, dedite a battaglie prosaiche (davvero senza pensieri più urgenti della ceretta?), possono essere abbindolate facilmente, con qualche costoso gingillo. Donne così devono essere protette (da se stesse, in primis), difficilmente potranno offrire esse stesse protezione.
A questa svilente categoria appartengono (oltre alla Matteucci, che se ne fa portavoce) le varie "Ruby", le numerose soubrette e soubrettine che allettano molte adolescenti coi loro (stonati) canti da sirene e politici come Michela Brambilla - che falsamente si erge a paladina degli animali, vendendo in realtà la sua buona dose di inconcludente fumo. (Ho affrontato su Natividad la questione del presunto animalismo della Brambilla.)
La triste copertina di "Amica"
(novembre 2011).
Per fortuna esistono anche donne di fattura e di tempra ben diverse, dotate di risorse inimmaginabili, spese per proteggere ciò che amano - ciò che ritengono giusto amare e proteggere: la vita, il proprio Paese, i propri ideali, il diritto a una vita migliore.
Penso (oltre che alle già citate streghe della Val Susa) alle donne arabe, alle donne d'Africa; a personaggi come Tawakkul Karman e Maryam Al-Khawaya. Quest'ultima, così descrive la madre Khadija nel corso di un'intervista rilasciata alla giornalista free-lance Sabine Clappaert:
Penso che mia madre fosse una combattente per la libertà, esattamente come mio padre. Era la spina dorsale della nostra famiglia, specie nei momenti più difficili.
Ricordo la volta in cui mio padre iniziò lo sciopero della fame, mentre era in prigione. Sapendo che mia madre era l'unica persona che lo amasse davvero, gli ufficiali le chiesero di convincerlo a porre fine allo sciopero.
Lei rifiutò. «Preferirei seppellire mio marito con le mie stesse mani, piuttosto che chiedergli di rinunciare a ciò in cui crede» disse.
Donne senza pellicce e senza gioielli, donne con e senza veli - che sanno cosa significhi proteggere ciò per cui siamo al mondo...

Note
[1] Due giorni dopo la "trionfale manifestazione di Giaglione" (IlCambiamento.it), l'ostello comunale di piazza Conte Rosso, ad Avigliana, è stato oggetto di una vergognosa rappresaglia da parte di alcuni vandali (evidentemente destrorsi) che, penetrati nottetempo nell'ostello, avrebbero distrutto libri, volantini e pubblicazioni del movimento NoTav e fatto scempio di documenti e fotografie riguardanti la lotta partigiana. La non-violenza dà dunque così tanto fastidio?
[2] La masca è la fattucchiera piemontese, figura del folclore molto diffusa nelle Langhe, nel Roero, nel Biellese e nel Canavese. I poteri delle masche, in genere, si tramandavano all'interno di una famiglia, da nonna a nipote.
[3] Ex crocerossina (!) dalle idee confuse (un po' scrive, un po' recita) il cui romanzo d'esordio si intitola Lourdes. Pubblica le sue opere niente meno che per Adelphi - il che ce la dice lunga sullo stato dell'editoria italiana.
[4] Dall'articolo apparso sul numero di novembre 2011 della rivista "Amica".

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